Riflessioni sul Decreto Gelmini di un docente di Scuola Primaria


Da lunedì 15 settembre sui cancelli d'entrata della scuola primaria, sono state appese delle grosse coccarde a lutto, viola e nero con la scritta 
 "Decretata" la fine della scuola elementare. 
Il personale è in lutto
Si tratta della protesta dei docenti a carattere nazionale contro il Decreto del Ministro Gelmini, a cui hanno aderito gran parte dei nostri insegnanti manifestando la loro contrarietà anche indossando una fascia nera al braccio durante le ore di lezione.
Di seguito le riflessioni di un insegnante sullo scenario che andrebbe delineandosi nella scuola italiana se il Decreto Gelmini venisse approvato in via definitiva. 
Viene inserito come informazione. 

All’alba del nuovo anno scolastico abbiamo appreso dagli organi d’informazione che il Ministero dell’Istruzione ha emanato un Decreto Legge con il quale si riforma drasticamente il sistema dell’istruzione pubblica.

Le novità introdotte sono molteplici: di carattere organizzativo, didattico e finanziario.

A poche settimane dal Decreto si è sollevata un’enorme eco mediatica. Al centro della bagarre sembra spiccare la questione del cosiddetto “maestro unico”.

Quale sia la vera natura di questa figura non è ancora del tutto chiaro. Infatti, non sono ancora stati resi noti gli schemi attuativi del Decreto.

Quella che appare chiara è la volontà di modificare l’attuale sistema di gestione dei gruppi classe, che non si confronteranno più con una pluralità di figure docenti, ma con un maestro unico.
Sinceramente a noi questo maestro più che unico sembra solo. Ci sembra il retaggio di un sogno onnipotente. Infatti, dall’alto della sua solitudine, questa “eroica” e “solitaria” figura, avrebbe il compito di gestire il tempo scuola degli alunni, di verificarne i livelli di partenza, scegliere se intervenire utilizzando talune strategie in luogo di altre. Non solo, il maestro unico dovrebbe valutare gli alunni con lucida obiettività, dovrebbe relazionarsi con loro, con i loro genitori e con gli Enti locali e territoriali che hanno il compito di aiutare i bambini e le bambine che si trovano in situazioni di disagio o che pure si trovano in condizioni di diversa abilità fisica o psichica.

Va da sé che oltre a questo il maestro unico dovrà confrontarsi con una didattica degli ambiti profondamente mutata, che prevede l’insegnamento della quasi totalità delle discipline, fatta eccezione, così sembra, per la lingua straniera.

Ci troviamo di fronte a una serie di modifiche che per quantità e qualità coinvolgono non solo la forma, ma anche la sostanza della scuola primaria italiana.

Ciò che lascia perplessi è prima di tutto la strada scelta dal Ministro per emanare il Decreto.

Non solo non si è dato spazio alla concertazione con le parti sociali ma, quel che è peggio, non è stato realizzato alcuno studio, nessuna commissione di esperti è stata costituita, non un addetto ai lavori è stato consultato. Il Decreto pare essere stato emanato frettolosamente, senza tener conto della condizione reale della scuola primaria, dei suoi alunni e delle sue alunne.

La logica che sta al centro dell’impianto riformatorio è che se il maestro unico andava bene fino a qualche decennio fa può andar bene pure oggi.

Questo ragionamento, al confine tra il grottesco e lo strampalato, non tiene conto tuttavia di alcuni importanti cambiamenti che la società italiana, ancorché la scuola primaria, ha avuto nel corso dell’ultimo quarantennio.

Infatti, quando noi frequentavamo le scuole elementari, in qualità di alunni, era sufficiente una maestra che insegnasse a leggere, scrivere e far di conto. Lo sviluppo tecnologico era agli albori, non esisteva Internet e “PC” significava solo “Partito Comunista”. Gli unici stranieri che si vedevano erano i turisti tedeschi in Estate e nelle classi delle scuole elementari tutti, chi più e chi meno, parlavano l’italiano. Oggi il mondo è cambiato. Le frontiere sono state per lo più aperte e il fenomeno dell’immigrazione è divenuto oramai comune nella stragrande maggioranza dei Paesi civili. La scuola è divenuta una comunità di tradizioni culturali e conoscenze diverse.

Potrà il maestro unico governare da solo la complessità di tutti questi cambiamenti?

Potrà far fronte a tutte le esigenze dei piccoli abitanti di un mondo globalizzato e interconnesso a fibre ottiche, in cui le informazioni viaggiano alla velocità del pensiero?

Saprà uscire dal guscio della soggettività e valutare in modo oggettivo gli alunni e le alunne, profondamente diversi tra loro per lingua, cultura e provenienza?

Non è semplice rispondere a queste domande, ma di una cosa siamo assolutamente certi: se mettiamo il passato contro il presente finiremo col perdere il futuro!

Non comprendiamo, pertanto, come si possa introdurre per Decreto una “controriforma” di cotanto rilievo sociale e di tale complessità organizzativa, comprimendo e annullando la discussione in Parlamento e nel paese.

La democrazia è il respiro della creatura umana e si fonda sulla dialettica del confronto.

Non c’è democrazia senza confronto.

Oltre tutto non sembra esserci nessun motivo che possa giustificare un iter legislativo così accelerato come quello sancito dai Decreti Legge. Nè la “frenesia di cambiamento” può essere legittimata con l’urgenza di ridurre la spesa pubblica.

Riduzione che in realtà ha già colpito pesantemente il comparto scuola. Infatti, è vero che le analisi e gli studi contenute nell’OECD FactBook 2008, pubblicato nell’anno in corso dall’ OCSE, rivelano che nel nostro Paese la spesa per l’educazione, tra il 1995 e il 2004, ha descritto una lieve impennata dello 0,2% rispetto al PIL, portandosi dal 4,7% del 1995 al 4,9% del 2004. Tuttavia, in quest’ultima percentuale sono compresi i finanziamenti pubblici alla scuola privata, che nel corso del decennio si sono attestati sullo 0,5%. Quindi, se la matematica non è un’opinione, e non lo è, basta eseguire una semplice sottrazione per scoprire che la spesa per l’istruzione pubblica, nel decennio di riferimento, è diminuita dello 0,3%. Slovenia, Polonia, Ungheria, insieme alla maggioranza degli Stati appartenenti all’UE, spendono più di noi per l’educazione e l’istruzione dei loro figli.
A questo punto si potrebbe pensare che la necessità di cambiamento urgente e immediato fosse da ricercare nella scarsa qualità della scuola primaria italiana e, quindi, si stia procedendo nella direzione del miglioramento della qualità.

Ma... anche in questo caso è l’OCSE a toglierci dal dubbio: la nostra scuola primaria si colloca al quinto posto tra i sistemi scolastici di tutto il mondo! E in ogni caso non si comprende come si possa aumentarne la qualità, diminuendone ore, insegnamenti e insegnanti.

Allora perché, si chiedono tutti insistentemente, era necessario tornare al maestro unico, se il sistema, così per com’è, funziona bene e costa meno di quanto spende la maggioranza degli altri Paesi Europei? E soprattutto quali sono i riferimenti pedagogici di un tale smantellamento di risorse?

Rileggendo il resoconto della seduta del 16 Settembre c.a., della “Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati”, si apprende che la figura del maestro unico rappresenterebbe un importante riferimento pedagogico per i figli dei genitori divorziati.

Senza inoltrarci nelle ramificazioni psico-pedagogiche di questa curiosa affermazione, vorremmo fornire alla Ministra un’importante indicazione : i genitori, nella naturalità delle cose, sono due e non è possibile tagliarne uno per Decreto! Se fosse vero, e non lo è, che il maestro unico rappresenti un riferimento pedagogico per i figli dei genitori divorziati, allora bisognerebbe chiedersi che cosa rappresenti per i figli di genitori uniti.

A questo, in Commissione Cultura, pare non abbia pensato nessuno.

Si vuole migliorare la scuola primaria riducendone le risorse umane. Noi invece crediamo possibile migliorare la scuola migliorando le risorse umane, riconoscendone i meriti individuali e, laddove necessario, sospendendo o bloccando il loro avanzamento nella carriera professionale in caso di evidenti mancanze.

Non si deve neppure credere, perché sarebbe falso e propagandistico, che gli insegnanti della scuola primaria stiano costituendo un fronte unito contro la riforma solo perché questa provocherebbe gravi cadute occupazionali.

Come cittadini ci sentiamo preoccupati per quest’aspetto della questione, che riteniamo estremamente delicato e meritevole di una attenta rilettura. Come insegnanti ci preme il futuro dei nostri alunni, ai quali inevitabilmente ci leghiamo.

Non crediamo nella forza della distruzione. Noi un edificio lo vorremmo costruire. Un edificio che sia un faro per le generazioni future, un messaggio del tutto umano alla costruzione, allo sviluppo e alla dignità dell’Uomo.

Fabio Rifici, Docente di Scuola Primaria nell'Istituto Comprensivo Narcisi

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